I nuovi martiri del sec. XX della Chiesa Russa

Dal 29 aprile al 3 maggio 2019 l'Opera Romana Pellegrinaggi ha organizzato un pellegrinaggio in Russia per i sacerdoti della diocesi, accompagnati dal Cardinale Vicario Angelo De Donatis. Don Andrea Lonardo ci racconta a puntate l'esperienza di questo viaggio.
L’icona dei Nuovi martiri del XX secolo della cattedrale del Santissimo Salvatore di Mosca

La chiesa ortodossa russa contava nel 1917 circa 210.000 membri del clero (100.000 monaci ed oltre 110.000 preti diocesani). Oltre 130.000 di essi furono fucilati nel periodo tra il 1917 e il 1941, nelle violente persecuzioni del regime comunista che cercò così di far scomparire la fede cristiana. Dei 300 vescovi presenti nel 1917 in Russia, ben 250 furono fucilati. Gli altri sopravvissero in carceri e campi di concentramento o, comunque, sottoposti a severe misure restrittive. Nel 1941 si trovavano in libertà solo 4 vescovi.
La persecuzione si abbatté anche sui cattolici. Nel 1917 vivevano in Russia circa 2 milioni di cattolici, che potevano contare su circa un migliaio di sacerdoti, 600 chiese, altrettante cappelle, due seminari ed una facoltà teologica. Nel 1940 rimanevano due chiese, scampate alla distruzione perché di proprietà dell’ambasciata francese, e solo due sacerdoti. Furono fucilati nei lager, solo negli anni 1937-1938, circa 120 sacerdoti cattolici (vedi R. Scalfi, I testimoni dell’Agnello, Ed. La casa di Matriona, Bergamo, 2000). Il numero totale degli uccisi per opera del regime per motivi politici, nel periodo sovietico, viene quantificato in 20 milioni (cfr. S. Courtois, I crimini del comunismo, in AA VV, Il libro nero del comunismo, Mondadori, Milano, 1998, pag. 6.).
L’icona dei Nuovi martiri del XX secolo, dipinta dopo la canonizzazione nell’agosto 2000 da parte della Chiesa ortodossa russa della famiglia Romanov e di 850 martiri della fede cristiana sotto il regime comunista e custodita nella Cattedrale del Salvatore di Mosca, ci fornisce una sintesi iconografica di queste persecuzioni. La presentiamo qui con delle brevi spiegazioni tratte da un libretto esplicativo disponibile nella stessa Cattedrale di Mosca.

 

La parte centrale

Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima

In alto sullo sfondo d’oro è scritto il nome dell’icona secondo lo stile del XV sec.

I nuovi santi sono rappresentati sullo sfondo della chiesa di Cristo Salvatore che si trova a Mosca. E’ stata scelta questa chiesa proprio perché simbolo della sofferenza passata e del risorgere della Chiesa russa nei nostri tempi . Davanti alla chiesa si trova l’altare coperto da una tovaglia rossa, rosso che è il colore della Pasqua. Questa tovaglia è simbolo dell’eterna gioia pasquale, della vittoria sull’inferno e sulla morte, dell’esultanza di gioia nel regno celeste dove si trovano tutti i martiri.
La Chiesa del Salvatore, nell’icona, è anche simbolo della Chiesa universale e del Regno dei cieli.

L’unione simbolica tra la chiesa e l’altare si manifesta nella Bibbia aperta sulle parole: “Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima”. La Bibbia sta sull’altare.

In alto si trova la grande croce che indica il martirio di tutti coloro che sono rappresentati nell’icona e, nello stesso momento, indica la vittoria della chiesa sul peccato attraverso la croce di Cristo. La croce è il simbolo principale della icona. Essa abbraccia tutte le persone orizzontalmente e verticalmente. La parte verticale ci presenta i martiri della famiglia reale con il re Nicola II al centro. La famiglia è vestita con i tradizionali vestiti reali, secondo lo stile bizantino, il che rappresenta la stretta unione tra la Russia e “Bisanzio”.

I martiri reali si trovano sotto l’autorità gerarchica della chiesa, attraverso la quale essi ricevono la benedizione di Dio e l’autorizzazione per guidare il popolo. A capo della gerarchia stanno il patriarca Tichon e S.Pietro Polanskiy. Il capo della chiesa, il patriarca Tichon, sta alla sinistra e non alla destra perché nell’icona non conta la visione di chi guarda, ma la prospettiva va vista a partire dal centro spirituale di essa, cioè dall’altare.
Sotto i capi della gerarchia della chiesa si trovano tutti gli altri: i santi martiri sacerdoti, monaci e laici, che, insieme, rappresentano l’unità e la complementarietà di tutta la chiesa.

 

Deesis

La chiesa celeste, con al centro Cristo sul trono

La Deesis rappresenta la chiesa celeste, perciò al centro naturalmente sta Cristo sul trono. Cristo tiene nelle mani il Vangelo aperto sulle parole: "Io sono la luce del mondo" (Gv8,12). L’immagine di Cristo completa la linea verticale (al di sopra della raffigurazione centrale che abbiamo appena considerato): i martiri della famiglia regale – la croce – l’altare – la cupola del tempio. Grazie a questo la figura di Cristo occupa il posto principale nell'icona, manifestando il senso del martirio – la sequela sulla via della croce di Cristo.

Nella Deesis dopo gli apostoli Pietro e Paolo seguono alcuni santi della chiesa russa dal X al XIX secolo. Dopo gli arcangeli Michele e Gabriele ed i due apostoli, ci sono, infatti, l’apostolo Andrea ed il principe Vladimir. Seguono i santi: Petr, Aleksij, Iona, Filipp (i quattro santi “gerarchi”) poi Hermogenes e Giobbe, poi i principi beati Boris e Gleb, poi San Sergio di Radonež e San Serafim di Sarov, San Giovanni di Kronshtadt il Giusto e Sant’Amvrosij di Optina. La sequenza dei santi istituisce il collegamento tra i santi del nuovo tempo ed i loro predecessori.

 

Le icone intorno all'immagine centrale

Nella parte verticale destra dell’icona è rappresentato il martirio dei singoli santi, nella parte verticale sinistra invece il martirio di gruppi di santi. L’icona centrale è caratterizzata dalla assenza delle azioni, invece le altre icone rappresentano l’azione del loro martirio. I soldati sono caratterizzati, nei loro vestiti, dal colore del fango, per mostrare l’associazione negativa con le forze demoniache. Inoltre le figure dei soldati non sono elaborate graficamente per sottolineare che essi sono ciechi strumenti nelle mani dei demoni per combattere la Chiesa.
Presentiamo le icone più piccole a partire da quella in alto a sinistra, in senso antiorario.

Le Solovki
Il monastero delle isole Solovki

Il monastero delle isole Solovki è famoso nell’ortodossia proprio per i tanti martiri che vi sono vissuti. Sull’icona si vedono due isole, l’Isola Grande delle Solovki e l’isola di Anzer. Al centro si trova il monastero della Trasfigurazione, che divenne il luogo della detenzione. Nell’icona vediamo la chiesa del monastero dove erano tenuti prigionieri i martiri, che si vedono dietro le sbarre. In primo piano davanti al monastero è rappresentata la morte dei monaci, mediante la fucilazione. I santi hanno le aureole e non hanno nomi, perché venivano uccisi in massa. Le fucilazioni e gli omicidi sull’isola erano fenomeni usuali.
Il posto più terribile sull’isola era il Colle della Sekira (a sinistra in alto). Dall’alto della montagna Sekira scende la scala con i 365 gradini (un numero simbolico). La scala fu usata come strumento di esecuzione. Il condannato a morte veniva legato ad un peso e gettato giù della scala. Ad uno dei santi vissuti alle Solovki era anticamente apparsa la Madonna (si trattava di San Iona). Era stata lei a chiedergli di costruire la chiesa su questa montagna (la vediamo a destra) in onore della passione del Suo Figlio. 200 anni dopo questo luogo divenne il luogo dei martiri per Cristo. Sotto la chiesa si vede il corpo di San Petr Zverev, arcivescovo, uno dei martiri più amati dell’isola di Anzer, che è lì sepolto. L’albero rappresentato nell’icona ha rami che hanno la perfetta forma della croce. Quest’albero è simbolo del fatto che Cristo stesso ha messo una croce in onore dei Suoi martiri.

Condanna a morte del Santo martire Beniamin, metropolita di Petrograd e di Gdovsk e degli altri che hanno condiviso con lui il martirio
Santo martire Beniamin, metropolita di Petrograd

Nel 1922 San Beniamin e gran parte del suo clero sono stati chiamati a giudizio per una falsa accusa di resistenza alla confisca dei beni materiali della chiesa. La notte dal 12 al 13 agosto dello stesso anno San Beniamin e gli altri sono stati condannati a morte.
Nella tradizione antica delle icone i giudici erano sempre rappresentati seduti, mentre i condannati erano in piedi. In questa icona è il contrario. Sia i condannati che il giudice sono rappresentati di tre quarti, rivolti gli uni verso gli altri e verso chi guarda l’icona. Il giudice tiene in mano il testo della condanna, sul testo si leggono solo i nomi dei santi (poiché la condanna è inconsistente) a confermare la falsità del giudizio e rivelare la forza del martirio nel nome di Cristo. Come risposta alla falsa condanna San Beniamin benedice il giudice.
Dietro il muro è rappresentato il carcere di Petrograd.

Occupazione di uno dei più grandi santuari di tutta la Russia, la Laura della Trinità e di San Sergio ed il furto delle reliquie di San Sergio di Radonež
Occupazione della laura della Trinità di San Sergio

Nel 1920 il monastero fu chiuso con la violenza e la santa reliquia fu trafugata e portata in un museo.Sull’icona è descritta l'entrata principale del monastero, bloccata dal soldato, la cui mano picchia i monaci per mandarli via. All'altro lato quattro soldati portano via il corpo di san Sergio. Al centro (dentro il monastero) vediamo il campanile senza, però, le campane, segno che il monastero è stato occupato e non può più svolgere la sua funzione.
San Sergio, come grande protettore del popolo russo, è particolarmente legato ai periodi delle prove e delle persecuzioni.

La prigionia del santo Patriarca Tichon nel monastero di Donskoj
La prigionia del santo Patriarca Tichon nel monastero di Donskoj

San Tichon, patriarca, primo fra i grandi santi vescovi della Chiesa Russa. Era un pastore zelante del suo gregge. Nell’icona si vede il popolo, che rappresenta tutta la Russia, che aspetta il santo sotto la prigione per ricevere la sua benedizione. San Tichon benedice e istruisce il popolo: proprio questo era la sua missione nella chiesa. La chiesa dipinta sull’icona rappresenta, come nelle altre, anche tutta la chiesa.

Fucilazione di “giusti” a Butov nei dintorni di Mosca, negli anni ‘30
Fucilazione di “giusti” a Butov nei dintorni di Mosca

Il poligono di tiro di Butov è uno dei luoghi più tragici per la storia russa del XX secolo. Vi sono stati uccise, negli anni ’30, moltissime persone, i sacerdoti insieme ai laici, si ritiene tra le trecento e le quattrocento al giorno. Circa trecentomila fucilati sono stati seppelliti nelle fosse comuni. I condannati venivano portati di notte e, nella stessa notte, uccisi e sepolti nelle fosse comuni già preparate per tutti. Sull’icona si vedono due gruppi di martiri, i primi già morti e gli altri che vengono portati per la fucilazione. I martiri non hanno nomi perché simboleggiano il gran numero di martirizzati di cui non conosciamo più l’identità. Al centro ci sono tre persone; l’anziano vestito di bianco al centro è un sacerdote che benedice i soldati che lo uccidono. A sinistra sono portati altri giusti a morire; le loro mani sono legate. I colori dei vestiti di questi martiri significano la loro santità e sono simbolo del passaggio alla vita eterna. La composizione è molto simile a quella delle isole Solovki. Tutte le piccole icone non hanno dei contorni molto definiti e trapassano l’una nell’altra, a simboleggiare la città celeste, nella quale non c’è luogo né spazio.

Fucilazione dei partecipanti alla processione della croce ad Astrakan
Fucilazione dei partecipanti alla processione della croce ad Astrakan

Su questa icona è rappresentata una delle processioni con la croce, con la quale tanti cristiani manifestarono la loro fede, dinanzi al nuovo regime. La composizione presenta lo scontro diretto di due forze. A sinistra c’è la processione che marcia davanti alla chiesa, a destra, contro di essa, vediamo venire i soldati che sparano, martirizzando i fedeli. I primi della processione indossano le vesti diaconali, caratterizzandone il ministero, ed uno di loro porta la croce. Al centro sta il vescovo Mitrofan fucilato il 23 giugno 1919. I giusti sono rappresentati con il colore rosso, simbolo della forza della loro fede.

La morte santa di Vladimir, metropolita di Kiev, il 25 gennaio 1918
La morte santa di Vladimir, metropolita di Kiev

Vladimir fu il primo dei vescovi russi ad essere martirizzato. Combatté a Kiev contro i movimenti anticlericali, nazionalisti e contro le varie divisioni nel clero ucraino. Il santo fu arrestato in un monastero di Kiev (precisamente nella Laura di Pechersk). Al momento della morte San Vladimir benedisse i suoi assassini.
Il momento dell'esecuzione non è rappresentato nell’icona. Il Santo è rappresentato due volte: quando viene prelevato per la fucilazione dalla sua residenza e nel momento del ritrovamento del suo corpo da parte dei monaci. Tramite questo martirio San Vladimir è diventato “simile a Cristo”: questo il tema dell’icona.

Una donna sconosciuta con i suoi bambini e l’arresto di un sacerdote durante la divina liturgia
Donna con bambini, sacerdote che celebra la liturgia

La testimonianza del martirio femminile, nel periodo delle persecuzioni, fu grande: tante donne morirono martiri nei campi di concentramento e nelle prigioni. Quelle rimaste libere compirono con delicatezza il loro servizio cristiano: accompagnarono e sostennero i sacerdoti nelle persecuzioni, passarono le loro notti davanti ai cancelli delle carceri per poter dare il necessario appena possibile a quanti si trovavano in essi, continuarono a frequentare le chiese ed a pregare, educarono i bambini alla fede e, proprio per questo, grazie a loro, la chiesa ortodossa riuscì ad attraversare questo periodo cosi duro ed a conservare la fede.
La donna rappresentata nell’icona non teme davanti ai soldati, perché crede nella grazia e nell’aiuto di Dio. 
Conosciamo numerosi casi, particolarmente durante i primi anni della rivoluzione, di persecutori entrati in chiesa anche durante la liturgia per arrestare od uccidere i sacerdoti che celebravano, cosa che è rappresentata nella parte destra di questa icona. Nella piccola chiesa, come tante altre in Russia, il sacerdote sta celebrando la messa, mentre entrano i soldati; uno di loro gli lega le mani, l’altro preleva i sacri oggetti dall’altare. Il viso del sacerdote assomiglia a quello di San Serafim di Sarov. La chiesa dette tutti i suoi beni a servizio dei poveri e degli affamati, ma, lo stesso, i calici e gli altri oggetti sacri furono usati usato come pretesto per la persecuzione.

Spoliazione del monastero di Sarov e furto delle spoglie mortali di San Serafim
Spoliazione del monastero di Sarov

I “deserti” di Sarov, resi famosi dalle gesta di San Serafim, nel secolo XIX, fanno parte dei luoghi particolarmente cari al popolo ortodosso ed a tutta la chiesa russa. Il monastero fu chiuso a forza nel 1927 e le sante reliquie di San Serafim trafugate. Sull'icona è rappresentata la forma del monastero di Sarov. Sullo sfondo del campanile della chiesa, due soldati portano via le reliquie del santo che finiranno al Museo dell’ateismo di Leningrado, mentre dall'altro lato dell’icona un soldato caccia via i monaci che erano ancora presenti nel monastero.

Il martirio di Kirill, metropolita di Kazan’ a Chimkent il 7 (20) novembre del 1937
Martirio del teologo Kirill

Il santo martire Kirill - ministro della chiesa e teologo altamente istruito, pastore saggio e amabile, sosteneva attivamente il santo patriarca Tichon nell’opposizione coraggiosa contro la forte pressione degli atei.
Nell’icona è rappresentata la sua fucilazione ad opera dei nemici della chiesa. Il Santo prega, dinanzi a colui che guarda l’icona. Le mani alzate sono allungate solennemente nel gesto della preghiera e dell’ultima benedizione. I vestiti liturgici dal color rosso si contrappongono al verde scuro dell’uniforme dei soldati. L’oscuro profilo dei soldati, con il fucile puntato verso il santo, rappresenta l’imponente furia delle forze delle tenebre. Il paesaggio conserva la somiglianza generale con la località dove il santo fu martirizzato.

Martirio della famiglia reale a Ekaterinburg, il 4 (17) luglio del 1918
 

Nonostante la forzata rinuncia dall'autorità, lo zar Nicola II si mantenne sempre fedele alla chiesa e alla patria, dicendo di essere pronto ad offrire la propria vita a Dio se fosse stato necessario. La famiglia reale, dopo aver subito tante sofferenze e persecuzioni, fu uccisa nella cantina della casa dove era stata imprigionata, cantina che è rappresentata nell’icona. Divenne così un modello di santità e di unità cristiana per il popolo ortodosso, e modello di piccola chiesa. La canonizzazione della famiglia reale non vuole essere una approvazione del suo comportamento politico negli anni che precedettero la rivoluzione, ma, piuttosto, un riconoscimento della testimonianza cristiana offerta nel periodo della detenzione, fino al martirio.
I martiri reali si trovano sulla scala della cantina, quella per la quale furono condotti dagli assassini.
La scala è diventata il palcoscenico che, maestosamente, solleva i martiri verso il cielo. La famiglia è un gruppo unito, al centro del quale sta la figura dello zar Nicola II con il figlio Alessio fra le braccia. I vestiti dello zar sono di colore verde, ma non dello stesso verde dei soldati: è un verde chiaro, simbolo di eternità. La regina è vestita di bianco come i primi martiri cristiani. La coppia reale è circondata dalle principesse, Olga, nel colore giallo, Tatiana, nel colore rosso, Maria, nel colore verde, Anastasia, nel colore rosa. Lo sfondo nero della cantina indica il buio che tenta di assorbire i santi. “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta”.

Martirio ad Alapaevsk, il 5 luglio (o 18 luglio) 1918
La principessa Elisabetta e la sua ancella Barbara

Le due Sante, la principessa Elisabetta e la sua ancella Barbara, insieme ai principi Sergey Mikhaylovich e Vladimir Paleyem, con altri tre principi e con i loro servi vengono martirizzati in una grotta.
La principessa Elisabetta, battezzata nel protestantesimo, dopo essersi sposata con il principe Sergey Aleksandrovič Romanov, si trasferì in Russia e divenne ortodossa. Dopo la morte del marito, si dedicò alle opere di carità. Il suo cammino spirituale si compì con la corona del martirio. Sull’icona le sante donne sono vestite di bianco, simbolo dell’essere spose di Cristo, nell’umiltà e nella piena accettazione della volontà di Dio. Il colore chiaro mostra anche il contrasto tra le donne ed i soldati, che le stanno uccidendo. Santa Elisabetta ha il vestito dal colore leggermente rosa e Barbara con sfumature di giallo.
La composizione ha la tonalità del verde leggero, simbolo dell’eterna giovinezza. Il paesaggio trasmette silenzio e grande pace dell’anima. Le ultime parole della Santa martire Elisabetta furono le stesse parole del Salvatore: "Dio, perdona loro, perché non sanno ciò che fanno". Il luogo è deserto, perché l'omicidio avvenne fuori dalla città. Le spoglie di Santa Elisabetta riposano ora nel monastero di Santa Maria Maddalena a Gerusalemme.

Sant’Andronik, arcivescovo di Perm’ e di Solikam, e San Germogen, vescovo di Tobol’sk e della Siberia
Sant’Andronik, arcivescovo di Perm’

Il primo venne sepolto vivo nella terra, il secondo buttato nel fiume Tobol con una pietra al collo. San Andronik era stato anche missionario in Giappone, San Germogen era un vero ministro della chiesa. Tutti e i due subirono una morte violenta quasi contemporaneamente, a distanza di pochi giorni: il vescovo Germogen fu ucciso il 16 giugno, e l’arcivescovo Andronik il 20 giugno, sempre nel 1918. Perciò sono rappresentati nella stessa icona. La tradizione canonica ortodossa conosce il metodo dell'associazione di due azioni in un unico spazio. Il loro martirio volontario in nome della fede in Cristo ha benedetto la terra e l’acqua. Con le aureole, con i gesti della preghiera, nei chiari festosi vestiti, i santi martiri si lasciano uccidere come se non avessero già più i corpi, “essendo ormai nello stato angelico”.
La città a destra è Tobol’sk, la cui bellezza dà un clima festoso all’icona; la città rappresenta anche la Gerusalemme celeste, mentre il fiume (che può essere letto anche come fiume dei dolori) simbolicamente divide la città della gioia eterna dalle sofferenze di questa terra.

La sofferenza e la morte del Santo martire Petr Poljanskij, metropolita di Krutitsk
La sofferenza e la morte del Santo martire Petr Poljanskij

Il Santo Petr Poljanskij è stato “la colonna”, il sostegno della chiesa. Ausiliare del patriarca Tichon, come Metropolita, ha subito persecuzioni estremamente severe da parte delle autorità. Fu condotto per molti anni in differenti prigioni, deportato per molti anni vicino al circolo polare, a Khe, vicino al fiume Ob. Dopo aver molto sofferto, il 27 settembre (il 10 ottobre) 1937 fu martirizzato a Chelyabinsk. Questo luogo così distante è stato visitato alcuni anni fa dal patriarca Alessio II.
San Petr è rappresentato due volte nell’icona. Nella parte superiore, in accordo con una sua fotografia conservata, è rappresentato seduto nella baracca di Khe; alla sua sinistra c’è l'oceano artico. Nella parte inferiore è rappresentata la morte del santo. La composizione ci fa percepire il trionfo della vita eterna sulla morte, ponendo il Santo vivo e seduto, nella parte più alta dell’icona. Lo sfondo rosa della terra è anch’esso simbolo della vittoria di ciò che è eterno sulle cose provvisorie.

Articolo pubblicato sul blog dell'autore il 17 settembre 2006, permalink all'originale.