Sono un appassionato della Maiella. Ne percorro i sentieri e amo i suoi eremi mimetizzati tra le rocce. Nulla di strano. Una passione condivisa da tanti. Anche Ignazio Silone amava questa montagna, attratto dal singolare intreccio di bellezze naturalistiche e memorie storiche. La definiva una Tebaide di eremiti. Ma c’era un’altra affermazione di Silone che mi era sempre rimasta impressa in memoria: “La Maiella è il Libano di noi abruzzesi”. Ne ero incuriosito. Che c’entra il Libano con la Maiella? C’è forse una montagna del Libano gemella di quella abruzzese? E quali ne sono la storia e i caratteri?
Poi finalmente è giunta l’occasione propizia. Un provvidenziale viaggio in Libano mi porta un giorno a risalire la Valle di Qadisha. È la “Valle Santa” che taglia la catena della Montagna del Libano con un solco che dal mare di Batroun risale fino ai duemila metri della foresta dei Cedri di Becharré. È la valle di Khalil Gibran. È la valle storica della comunità maronita libanese. Il rifugio scelto dai patriarchi maroniti, dai monaci, dagli eremiti, dagli abitanti dei villaggi in fuga dalle persecuzioni siriane, dopo aver attraversato il deserto, i monti dell’Antilibano e la valle della Bekaa. La valle accoglie un gran numero di monasteri, di chiese rupestri e di eremi che risalgono all’epoca medievale. Il paesaggio è aspro. Alterna rocce repulsive e boschi di cedro, ma propone anche oasi di pace, giardini e campi terrazzati, allevamenti e frutteti, una sorprendente agricoltura di montagna, frutti della fatica di generazioni di monaci e valligiani.
Il Monastero rupestre dedicato a Sant’Antonio del Deserto, fondatore del monachesimo cristiano e primo degli abati, si trova nella località di Qozhaya, a novecento metri di quota. Gli edifici moderni, aggrappati alle rocce, coprono le grotte naturali e le rovine medievali e si raggiungono con ripide stradine a saliscendi.
Il monastero ospita un’attiva comunità di monaci maroniti, cui si aggiungono alcuni eremiti dislocati nei dintorni. È un frequentato luogo di pellegrinaggio, insieme alla chiesa rupestre, con la caratteristica facciata che dà accesso alla grande grotta. Il Museo accoglie reperti storici della vita monastica e una sorprendente tipografia seicentesca, la prima di tutto il Medio Oriente, dalla cui pressa uscì un libro dei Salmi datato al 1610. La Biblioteca monastica ha il suo pendant nei campi terrazzati al di là del torrente, coltivati a verdura e frutteto.
L’eremo di San Bichay, ricavato in una grotta naturale sospesa su una ripida scarpata rocciosa, dà una buona idea dell’ambiente rupestre in cui si muovevano gli eremiti della valle di Qadisha. Ospitò nel Duecento il primo vescovo maronita e subì rifacimenti e ingrandimenti, con l’inserimento di una cappella. Un recente restauro e la ricostruzione della scala d’accesso ne permettono la visita.
La valle di Qadisha e i suoi siti monastici sono protetti da riserve naturali e sono stati inseriti dall’Unesco nel Patrimonio mondiale dell’Umanità. Il Lebanon Mountain Trail, un trekking che attraversa tutta la montagna del Libano in 26 tappe, traversa la valle e tocca il monastero di Sant’Antonio.
Devo riconoscere che questa Valle Santa giustifica appieno la similitudine che Silone proponeva con la Maiella. Aggiungo che si tratta anche di un avvincente sito storico che richiama molti altri luoghi del Mare Nostrum. Per limitarci all’Italia ricordiamo soltanto le valli abitate dai monaci in fuga dalle regioni balcaniche occupate dai turchi, come gli insediamenti rupestri nelle Gravine dello Jonio tarantino e materano, nel vallone dello Stilaro e negli altri solchi rupestri della Calabria. Un affascinante spaccato di storia del Mediterraneo.
(Articolo pubblicato dall'autore sul proprio blog il 5 Aprile 2019 e qui ripubblicato con il consenso dello stesso, permalink all'articolo originale: https://wp.me/p3L1ab-1WR. Fotografie dell'autore.)